C’è tempo | Marzo 2019

Orari di Proiezione:

  • Venerdì 15/03 ore 21.00
  • Sabato 16/03 ore 21.00
  • Domenica 17/03 ore 18.00 e ore 21.00
  • Martedì 19/03 ore 21.00
Categoria:

Descrizione

Se è vero, e non ci son dubbi, che viviamo in tempi bui, è altrettanto vero che la speranza in un cambiamento c’è sempre, anche laddove sembra nascondersi, basta solo crederci e farla venire fuori. L’incompiuto, il non detto, il non voluto o non realizzato possono essere visti e gestiti in altri modi e portare a qualcos’altro che non è per forza sempre positivo, ma sicuramente sarà diverso da una staticità nella quale ci si è arenati fin troppo a lungo. Ci vuole tempo, quello sì, per questa che possiamo chiamare rivoluzione, un tempo che cambia da individuo a individuo e che porta a scontri, a incomprensioni, ad altri scontri, a un nuovo momento che può arrivare subito, tardi o, a volte, addirittura mai.

Nel caso di Stefano (Stefano Fresi) e Giovanni (Giovanni Fuoco), i due protagonisti di “C’è tempo”, il primo film di finzione di Walter Veltroni in uscita giovedì 7 marzo per Palomar e Vision Distribution, questa rivoluzione arriva, come tutte, all’improvviso nelle loro vite, fino a sconvolgerle. Sono due persone diverse che non si erano mai viste prima: un quarantenne e un tredicenne, un uomo sovrappeso con t-shirt dai colori improbabili grandi quasi come le tende canadesi da campeggio e un ragazzino magrissimo ed elegante, sempre in giacca o al massimo in camicia, con una cravatta che non toglie mai usando solo il “lei”. L’orco buono vive in un paesino – Viganella, oggi Borgomezzavalle, in Piemonte – facendo l’osservatore di arcobaleni, e il bambino fin troppo adulto che si divide tra la scuola e il chiuso della splendida casa romana in cui vive con la baby sitter tuttofare filippina.
Veltroni li dirige con grande maestria e così facendo, coinvolge i suoi spettatori lasciando al di fuori la politica per far parlare il cinema, l’altra (se non prima) sua grande passione, dimostrando di riuscire bene nell’una come nell’altra, poco importa se a volte di più e altre di meno, esprimendo appieno le sue convinzioni con un linguaggio e una forma opportuna, sempre pacata, signorile e mai invadente. La sua è una favola sin dalle prime inquadrature: nella casa di lui – ricca di oggetti fantasiosi e a dir poco originali, molti dei quali dei veri e propri omaggi a grandi film – la pistola rossa con i pois bianchi usata da Marco Ferreri in “Dillinger è morto” o la cuffia blu di Nanni Moretti in “Palombella Rossa” – come nella stanzetta del ragazzino – una sorta di Veltroni junior (la sua passione per il cinema iniziò proprio a quell’età) che tiene appeso alla parete il poster de “I 400 colpi” di Truffaut. Simboli e rimandi che ritroverete per tutto il film – sono più di 50, un gioco che piacerà ai cinefili – dall’elmo del concierge dell’hotel che è quello dell’Armata Brancaleone al cinema Fulgor di Amarcord, dalla padella bucata de La Grande guerra al nome del notaio che arriva nel paesino, Lolotta Cortona, con un nome usato in Miracolo a Milano e un cognome (di Gassman) usato ne Il sorpasso da Dino Risi. E, ancora, nelle immagini di film indimenticabili come “Novecento” di Bertolucci o nella presenza, proprio nel film, di personaggi a lui molto cari, come Laura Ephrikian (interpreta la madre di Stefano), regina di quei “musicarielli” che Veltroni andava a vedere, uno dopo l’altro, nel cinema vicino casa. Non mancano citazioni letterarie, dal libro “Staccando l’ombra da terra” di Daniele Del Giudice a la frase “passami il sale” in omaggio a Clara Sereni.

Veltroni è così, “Sempre lo stesso, sempre diverso”, come recita il titolo della canzone de “Lo Stato Sociale” da lui usata per i titoli di testa e di coda del film che rende omaggio, con quel titolo, a Ivano Fossati e all’omonima canzone. Per uno come lui, “ossessionato dal buio e dalla paura”, una favola luminosa e ricca di buoni sentimenti come questa era necessaria. Le musiche, lo ribadiamo, a cominciare proprio da quelle originali di Danilo Rea, di Simona Molinari (“Parlami”) e del suo grande amico Lucio Dalla (“Almeno pensami”), aiutano molto e quel che ne è venuto fuori è una favola della diversità, una di quelle in cui l’arcobaleno, a suo modo protagonista – mostrato, pensato, desiderato e di nuovo mostrato – ne è il simbolo, il luogo reale e insieme di sogno in cui le differenze che lo compongono, dalla luce ai colori, fanno sì che lo stesso diventi una meraviglia per tutti, l’esaltazione stessa di quella diversità capace di unirci soltanto ammirandolo.